L'avversario - Emmanuel Carrère

"L’avversario" di Emmanuel Carrère, ripercorre la vita e la storia realmente accaduta di uno dei serial killer più famosi di Francia, ma forse del mondo intero.
Perché? Jean-Claude Romand, l’8 gennaio 1993, uccise la moglie con un corpo contundente e i due figli e i suoceri con un fucile. Poi tentò di strangolare l’amante. I mezzi d’informazione di tutta Europa diedero ampio risalto all’evento, e ancora pochi mesi fa risalto all’ordine del giorno vista l’imminente scarcerazione dell’assassino.
Carrère si prende la briga di contattare personalmente l’omicida, per poterne scriverne una biografia e capire il perché del folle gesto, da un lato umano e letterario. Romand era un medico dell'OMS, era più che benestante, la moglie lo amava, era stimato da tutta la comunità, aveva due splendidi bambini, perché quel gesto?
Semplice: perché la vita di Romand era sempre stata una frottola, una farsa. E i nodi cominciavano a venire al pettine. Romand non si era mai laureato, non aveva mai lavorato all’OMS, viveva solo dei soldi rubati ai suoceri e all’amante con la promessa di investirli in ambiti finanziari che poteva conoscere solo lui, essendo un pezzo grosso dalle parti di Ginevra. Ogni mattina, salutava la famiglia e si recava a lavoro. Ma non era vero: ogni mattina si dedicava a tutt’altro. Romand bighellonava, leggeva il giornale in una piazzola di sosta, le sue giornate passavano così, tra colazioni e sonnellini. E nessuno se ne accorse mai, almeno finché le persone non cominciarono a chiedere informazione sugli investimenti. A quel punto, qualcosa dentro di lui si ruppe.
Romand era una vittima, un paranoico, inventava gravi malattie ed enormi frottole per farsi accettare, per innalzare la propria persona, sopratutto per convincere se stesso che non era una nullità. Per anni la famiglia visse ignara della doppia vita di Jean-Claude, il quale era una persona con evidenti problemi, ma molto astuta e convincente. Quando vide che il suo inganno, il suo castello di carte, stava crollando, decise di fare tabula rasa di tutto ciò che aveva costruito. Letteralmente.
Carrère ne traccia un profilo unico, dove l’assassino apre il cuore e confessa tutto: gli inganni, la sua psicologia, la sua situazione finanziaria e sociale. Ciò che turba di più di tutto il libro è che Jean-Claude Romande, nonostante tutto, crede ancora di essere nel giusto.
Il libro è stato scritto in maniera particolare: a metà tra un report e letteratura.

L'ultimo anno è trascorso sotto il peso di quella minaccia, che prima incombeva sulla sua vita in modo diffuso. Ogni volta che incrociava qualcuno, che qualcuno gli rivolgeva la parola o il telefono squillava a casa sua, l'angoscia gli stringeva lo stomaco.

Ricalcando i suoi passi provavo pietà, una straziante simpatia per quell'uomo che aveva errato senza meta, anno dopo anno, chiuso nel suo assurdo segreto, un segreto che non poteva confidare a nessuno e che nessuno doveva conoscere, pena la morte. Poi pensavo ai bambini, alle fotografie dei loro corpi scattate all'Istituto di medicina legale: orrore allo stato puro, un orrore tale da costringerti a chiudere gli occhi, a scuotere il capo la realtà.




Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand ha ucciso la moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidarsi, ma invano. L'inchiesta ha rivelato che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient'altro. Da diciott'anni mentiva, e quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di essere scoperto, ha preferito sopprimere le persone il cui sguardo non sarebbe riuscito a sopportare. È stato condannato all'ergastolo. Sono entrato in contatto con lui e ho assistito al processo. Ho cercato di raccontare con precisione, giorno per giorno, quella vita di solitudine, di impostura e di assenza. Di immaginare che cosa passasse per la testa di quell'uomo durante le lunghe ore vuote, senza progetti e senza testimoni, che tutti presumevano trascorresse al lavoro, e che trascorreva invece nel parcheggio di un'autostrada o nei boschi del Giura. Di capire, infine, che cosa, in un'esperienza umana tanto estrema, mi abbia così profondamente turbato - e turbi, credo, ciascuno di noi."

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