Da come lo si descrive in quarta di copertina, lo vendono come un giallo. Assolutamente no. L'indagine è una vicenda collaterale. Il romanzo è molto di più. In 330 pagine si incrociano una marea di personaggi e di trame che alla fine trovano tutte il loro sbocco, il loro perché, in un disegno che l'autore riesce a creare ad opera d'arte. Queste pagine riescono a dipingere la società moderna giapponese come nessun libro che mi sia mai capitato tra le mani sia mai riuscito a fare.
I protagonisti hanno un'anima, hanno qualcosa da nascondere, si celano dietro a delle maschere imposte dalla società moderna.
In questo romanzo c'è tutto. È una definizione pericolosa, ma quantomeno azzeccata. Azione, ritmo, descrizioni, sentimenti, fughe d'amore, sogni, desideri e morte. L'autore riesce a stupirci, gioca con noi facendoci credere cose che alla fine si riveleranno tutt'altro. Senza cadere nei soliti canoni del libro d'indagine. Perché "L'uomo che voleva uccidermi", a mio avviso, è un romanzo totale.
Mi sembra sempre che parlino di un’altra donna... Non sto cercando una via di fuga dalla realtà. Ma anche se mi sforzo di ricordare, mi sembra sempre di vedere una donna che non sono io. Per tutto quel tempo mi ero dimenticata che tipo di donna fossi. Non sono capace di fare niente e mi ero convinta di poter fare qualsiasi cosa... Anche se fino ad allora non mi era mai riuscito un bel nulla..."
Chi ha ucciso Yoshino? Chi è l’uomo che doveva incontrare al parco? Perché la cronologia delle chiamate e dei messaggi del suo telefono cellulare racconta una storia diversa da quella che conoscono gli amici e i familiari?
La morte violenta di una giovane innesca un intreccio di narrazioni accomunate dal senso di solitudine, dalla difficoltà di vivere in una società sempre più complessa, dalla desolazione dei paesaggi urbani, dall’incapacità di amare.
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