Americani diffidenti.

 "Non ci va che le persone del posto sappiano che noi siamo qui."

Beh, mi è capitato di ascoltare queste parole con le mie orecchie. Americani che, un paio di volte l'anno, vengono in villeggiatura in Fontanabuona e che preferiscono rimanere più anonimi possibile. Perché?
Perché ai loro occhi siamo barbari retrogradi pronti a rapinarli o a svaligiargli la casa appena mettono il naso fuori? Vorrebbero godere della nostra focaccia, delle nostre colline, del nostro mare, senza però essere disturbati?
L'ho trovato offensivo. 
Sopratutto perché a cliccare qui e là, su internet, a sfogliare un quotidiano, mi sembra che siano loro ad avere i problemi. Mi sembra che siano loro a soffrire di un dilagante razzismo, un'intolleranza galoppante, hanno gestito malissimo la crisi sanitaria, si guardano continuamente intorno con sospetto, vogliono il muro al confine con il Messico, e magari anche mettere il veto a qualche passaporto in più. Si sentono costantemente minacciati quando la minaccia a loro stessi, beh, sono loro stessi.
Io ho fatto finta di niente, pentendomene. Tornando indietro, gli direi di stare tranquilli che non sono loro che devono avere paura di noi, e sopratutto non devono pensare di essere quelli che portano i dollari ai disperati italiani: quella pratica è stata superata da una settantina di anni. 
Di godersi tutto il nostro ben di Dio consci che nessuno li disturberà. Anzi, ci fa pure piacere. 
Di evitare quell'aria di superiorità che li contraddistingue, l'indolenza con cui si atteggiano a causa dei loro stipendi e della capacità di guadagnare un sacco di soldi (e, a volte, perderli con altrettanta rapidità). Credersi coloni di un paese bello, ma dalla popolazione ignorante e retrograda. 
Si, siamo in difficoltà, ma non siamo barbari. E voi siete i benvenuti.



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