La (s)fortunata generazione a cui appartengo.

Troppo giovani per godersi i fasti degli anni in cui siamo nati, noi degli ‘80 siamo quelli che hanno sfiorato i “tempi belli”, quelli che si sono fatti l’adolescenza post 11 settembre con la paura dei Talebani, dei controlli aeroportuali, dei tornelli allo stadio e del controllo dell’individuo. Siamo usciti dalle scuole superiori e la crisi del 2008 ci ha tagliato fuori dal lavoro, ci ha relegato al precariato, al jobs act, che “intanto sarebbe successo comunque per colpa dei robot”.
Siamo la generazione che, dopo essere arrivati ai 30, ci ha pensato la maledetta sera del Bataclan a farci risprofondare nell’incubo del diverso, a chiedere a gran voce sempre più limitazioni personali nell’era dell’ultra liberismo fai-quel-che-vuoi-vai-dove-vuoi.
E allora mettiamo su famiglia, abbiamo l’età: siamo scampati ai terroristi, siamo sopravvissuti (quasi tutti) la crisi, ci barcameniamo tra i giudizi delle generazioni precedenti “non siete capaci di fare niente, campate grazie a quello che abbiamo costruito noi”, e un bel giorno, dall’altra parte del mondo, arriva un essere minuscolo chiamato Virus a minare le fondamenta di quelle esigue certezze che pensavamo di esserci meritati.

E allora ci ritroveremo anziani (a sto punto se ci arriviamo all’anzianità, qualche dubbio ormai è lecito. Siamo vittime e testimoni di un disastro mondiale ogni dieci anni scarsi, solo i veri eroi si salveranno), anche noi avremo da annoiare i nostri nipoti con storie di un’altra era, facendoli sbadigliare all’ennesimo “mi ricordo quando ero giovane...”

Vero nonna?

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