Prese un cartina e la tenne con una mano mentre con l’altra
appoggiava delicatamente il tabacco.
La arrotolò perfettamente. Aveva compiuto quel gesto forse un milione di volte. Fumava da quando era giovane. Colpa del militare. In monti iniziavano così.
Seduto su una panchina, con la sigaretta in bocca. Il fumo del Golden Virginia nei polmoni.
Guardava il mare, gli occhi protetti dalla falda del suo cappello.
Il sole si rifletteva sulle onde, che assorbivano la luce. Un pesce saltò fuori dall’acqua.
La camicia di lino dell’uomo era leggermente umida, un alone sotto le ascelle.
Quando finì la sigaretta, la lanciò con precisione chirurgica in acqua.
- Non avresti dovuto - disse una voce alle sue spalle.
- Carta, tabacco e cotone. In un attimo si scioglierà.
- Non sta bene lo stesso.
- Sei venuto a farmi la morale, vecchio?
L’uomo si voltò. Sapeva già con chi stava parlando. Un signore distinto, ben vestito. Un amico di lunga data.
- Siediti qui. - gli disse.
- Due minuti. Ho da fare. Sudo come una bestia.
- Guarda come sei vestito.
- Ero dal medico.
- E dal medico ci si va vestiti così?
Si sedette accanto all’uomo con il cappello, il quale aveva tirato fuori il tabacco e stava girando un’altra sigaretta. - Vuoi?
- Grazie.
Fumarono senza guardarsi nemmeno un volta.
- Cosa ti ha detto il medico?
- Solite cose. Colesterolo. Glicemia.
- Devi mangiare meglio.
- Ormai, alla mia età, posso fare quello che voglio.
- No, se vuoi campare ancora un pò.
- Ora sei tu che stai facendo la morale a me.
Risero. Finirono di fumare. Il sole era sceso dietro una palma, regalando loro un angolino d’ombra.
Ora entrambi guardavano il mare.
- Come va? - Chiese l’uomo vestito bene.
- Come vuoi che vada?
- Tua moglie?
- Sta in casa e sgranare il rosario. Beata lei che ci crede. Beata lei che crede ancora in qualcosa.
- E tu?
- E io guardo il mare.
- Scusami. Non volevo…
- Ma no. Non è colpa tua. È che fa ancora male.
- Capisco.
Una barca passa silenziosa davanti a loro lasciando una scia di spuma bianca.
Si alza una brezza. Una folata si insinua sotto le falde del cappello del vecchio e lo solleva, lo fa fluttuare, appoggiandolo delicatamente sull’acqua. L’amico si alza, raggiunge il molo, ma ormai è distante per poterlo prendere senza bagnarsi.
- Lascialo andare.
- Ma sei sicuro?
- Lascialo andare.
Guardarono il cappello galleggiare pigro al ritmo delle onde, sempre più distante.
- Senti… - disse l’uomo vestito bene.
- Non dire nulla. Davvero.
Una lacrima uscì dai suoi occhi. Portò una mano al taschino della camicia. Con due dita estrasse una fotografia. La guardò. Poi la porse all’amico che la prese, ma non disse nulla.
- Mi manca terribilmente.
- Capisco. Non so che dire.
- Non c’è nulla da dire.
Stettero in silenzio, l’uno con le lacrime che gli rigavano il volto, l’altro con la foto in mano. Poi l’amico la porse al proprietario.
- Andiamo a bere qualcosa?
L’amico non rispose. Prese di nuovo la bustina di tabacco.
- Mi sa che stai esagerando.
- Va bene.
- Va bene cosa?
- Andiamo a bere qualcosa. Ma per favore, lasciami fumare.
- Non devi chiedere il permesso a me.
- La vuoi anche tu?
- Va bene.
Si alzarono e si diressero verso il bar che distava qualche centinaio di metri.
- Senti, - disse l’amico fermandosi, - sono sicuro che sia dura, ma dovete farvi forza.
L’uomo si girò verso e aspirò una boccata di fumo. Una goccia gli scese dalla tempia.
- Non avrei mai pensato di seppellire mia figlia.
- Nessuno lo pensa.
- E fa troppo male.
Nessuna risposta. Ricominciarono a camminare. Giunti di fronte al bar, l’uomo senza cappello sembrava davvero esausto.
- Ti spiace se rimango fuori? Tu entra e ordina.
- Ci mancherebbe. Siediti lì. - disse indicando un tavolino all’ombra. - Cosa bevi?
- Un Ricard.
- Sei pazzo. Con questo caldo.
- Ne ho bisogno.
- Se è quello che vuoi…
L’ amico entrò e l’uomo rimase solo al tavolino. Giocherellò con una bustina di zucchero.
Nella piazza dietro l’angolo sentì uno schiamazzo.
Si alzò e si diresse verso i bambini che stavano giocando a pallone. Si fermò e li guardò.
D’un tratto, dal gruppetto, si staccò un ragazzino. Avrà avuto forse dodici anni. Guardò il vecchio, si girò versi gli amichetti e gli gridò qualcosa. Poi cominciò a correre incontro all’uomo.
- Nonno! - gridò.
- Ehi! - rispose.
Il ragazzino lo abbracciò. Il vecchio gli pose una mano sulle spalle. Un secondo di silenzio, di intimità.
- Come va nonno?
- Eh… vedo che ti stai divertendo! Vuoi un gelato? Anzi, chiedi a tutti i tuoi amici se lo vogliono anche loro, offro io!
Dall’angolo del bar, l’uomo vestito bene guardava la scena scuotendo la testa. In mano il Ricard dell’amico.
Gli sguardi dei due amici si incontrarono. Nel momento in cui il gruppetto di ragazzini li raggiungeva, l’uomo senza più il cappello sorrise.
L’amico se ne accorse e versò il Ricard in un vaso. Poi appoggiò il bicchiere sul tavolino.
La arrotolò perfettamente. Aveva compiuto quel gesto forse un milione di volte. Fumava da quando era giovane. Colpa del militare. In monti iniziavano così.
Seduto su una panchina, con la sigaretta in bocca. Il fumo del Golden Virginia nei polmoni.
Guardava il mare, gli occhi protetti dalla falda del suo cappello.
Il sole si rifletteva sulle onde, che assorbivano la luce. Un pesce saltò fuori dall’acqua.
La camicia di lino dell’uomo era leggermente umida, un alone sotto le ascelle.
Quando finì la sigaretta, la lanciò con precisione chirurgica in acqua.
- Non avresti dovuto - disse una voce alle sue spalle.
- Carta, tabacco e cotone. In un attimo si scioglierà.
- Non sta bene lo stesso.
- Sei venuto a farmi la morale, vecchio?
L’uomo si voltò. Sapeva già con chi stava parlando. Un signore distinto, ben vestito. Un amico di lunga data.
- Siediti qui. - gli disse.
- Due minuti. Ho da fare. Sudo come una bestia.
- Guarda come sei vestito.
- Ero dal medico.
- E dal medico ci si va vestiti così?
Si sedette accanto all’uomo con il cappello, il quale aveva tirato fuori il tabacco e stava girando un’altra sigaretta. - Vuoi?
- Grazie.
Fumarono senza guardarsi nemmeno un volta.
- Cosa ti ha detto il medico?
- Solite cose. Colesterolo. Glicemia.
- Devi mangiare meglio.
- Ormai, alla mia età, posso fare quello che voglio.
- No, se vuoi campare ancora un pò.
- Ora sei tu che stai facendo la morale a me.
Risero. Finirono di fumare. Il sole era sceso dietro una palma, regalando loro un angolino d’ombra.
Ora entrambi guardavano il mare.
- Come va? - Chiese l’uomo vestito bene.
- Come vuoi che vada?
- Tua moglie?
- Sta in casa e sgranare il rosario. Beata lei che ci crede. Beata lei che crede ancora in qualcosa.
- E tu?
- E io guardo il mare.
- Scusami. Non volevo…
- Ma no. Non è colpa tua. È che fa ancora male.
- Capisco.
Una barca passa silenziosa davanti a loro lasciando una scia di spuma bianca.
Si alza una brezza. Una folata si insinua sotto le falde del cappello del vecchio e lo solleva, lo fa fluttuare, appoggiandolo delicatamente sull’acqua. L’amico si alza, raggiunge il molo, ma ormai è distante per poterlo prendere senza bagnarsi.
- Lascialo andare.
- Ma sei sicuro?
- Lascialo andare.
Guardarono il cappello galleggiare pigro al ritmo delle onde, sempre più distante.
- Senti… - disse l’uomo vestito bene.
- Non dire nulla. Davvero.
Una lacrima uscì dai suoi occhi. Portò una mano al taschino della camicia. Con due dita estrasse una fotografia. La guardò. Poi la porse all’amico che la prese, ma non disse nulla.
- Mi manca terribilmente.
- Capisco. Non so che dire.
- Non c’è nulla da dire.
Stettero in silenzio, l’uno con le lacrime che gli rigavano il volto, l’altro con la foto in mano. Poi l’amico la porse al proprietario.
- Andiamo a bere qualcosa?
L’amico non rispose. Prese di nuovo la bustina di tabacco.
- Mi sa che stai esagerando.
- Va bene.
- Va bene cosa?
- Andiamo a bere qualcosa. Ma per favore, lasciami fumare.
- Non devi chiedere il permesso a me.
- La vuoi anche tu?
- Va bene.
Si alzarono e si diressero verso il bar che distava qualche centinaio di metri.
- Senti, - disse l’amico fermandosi, - sono sicuro che sia dura, ma dovete farvi forza.
L’uomo si girò verso e aspirò una boccata di fumo. Una goccia gli scese dalla tempia.
- Non avrei mai pensato di seppellire mia figlia.
- Nessuno lo pensa.
- E fa troppo male.
Nessuna risposta. Ricominciarono a camminare. Giunti di fronte al bar, l’uomo senza cappello sembrava davvero esausto.
- Ti spiace se rimango fuori? Tu entra e ordina.
- Ci mancherebbe. Siediti lì. - disse indicando un tavolino all’ombra. - Cosa bevi?
- Un Ricard.
- Sei pazzo. Con questo caldo.
- Ne ho bisogno.
- Se è quello che vuoi…
L’ amico entrò e l’uomo rimase solo al tavolino. Giocherellò con una bustina di zucchero.
Nella piazza dietro l’angolo sentì uno schiamazzo.
Si alzò e si diresse verso i bambini che stavano giocando a pallone. Si fermò e li guardò.
D’un tratto, dal gruppetto, si staccò un ragazzino. Avrà avuto forse dodici anni. Guardò il vecchio, si girò versi gli amichetti e gli gridò qualcosa. Poi cominciò a correre incontro all’uomo.
- Nonno! - gridò.
- Ehi! - rispose.
Il ragazzino lo abbracciò. Il vecchio gli pose una mano sulle spalle. Un secondo di silenzio, di intimità.
- Come va nonno?
- Eh… vedo che ti stai divertendo! Vuoi un gelato? Anzi, chiedi a tutti i tuoi amici se lo vogliono anche loro, offro io!
Dall’angolo del bar, l’uomo vestito bene guardava la scena scuotendo la testa. In mano il Ricard dell’amico.
Gli sguardi dei due amici si incontrarono. Nel momento in cui il gruppetto di ragazzini li raggiungeva, l’uomo senza più il cappello sorrise.
L’amico se ne accorse e versò il Ricard in un vaso. Poi appoggiò il bicchiere sul tavolino.
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